Documento finale del seminario di studi (15-16.10.2022)
15-16 Ottobre 2022 – Pietralunga PG
Seminario di Studi
il Parco che non è!
Idee per un futuro delle aree interne dell’Appennino
Documento finale
Principali problematiche delle aree interne appenniniche
In questi primi anni del XXI secolo il fenomeno della globalizzazione, con la concentrazione delle risorse economico-finanziarie nelle aree urbane (principalmente metropolitane), e conseguentemente anche della popolazione, ha determinato una serie di problematiche comuni alle aree interne e montane del Paese:
- inarrestabile processo di impoverimento delle aree interne, con mancanza di lavoro e conseguente spopolamento (il tutto acuito dall’allontanamento dei centri decisionali dai territori montani ai capoluoghi cittadini, con la soppressione delle Comunità Montane e lo svuotamento di poteri delle Province);
- popolazione invecchiata, territorio meno presidiato ed accudito, incapace di fronteggiare episodi metereologici estremi, sempre più frequenti;
- mancanza di riconoscimento del valore economico delle funzioni ecosistemiche e delle attività ad esempio agricole e selvicolturali compatibili che ne possano mantenere la funzione per la collettività come bene pubblico, applicando normative vigenti rispondendo ai principi costituzionali dell’art.9 in cui la biodiversità e gli ecosistemi diventano “valore costituzionale”, ossia “principio fondamentale” a carattere oggettivo, affidato alla cura di apposite politiche pubbliche come oggetto di un “diritto fondamentale”.
- sovraffollamento incontrollato in ambiti spaziali (i delicati ecosistemi montani) e temporali (week-end, periodi di fioriture o foliage) ristretti, quale conseguenza della fuga dal malessere cittadino e/o dalle pandemie (il tutto acuito dalla soppressione dell’organo preposto alla regolamentazione, ovvero il Corpo Forestale dello Stato);
- impiego inopinato (e privo di visione strategica) di ingenti somme di denaro pubblico per progetti estemporanei e inutili (divertimentifici vari), che consumano suolo senza offrire una prospettiva durevole di benessere alle popolazioni locali;
- progressiva trasformazione in “terre di nessuno” inevitabilmente sottoposte agli attacchi di opportunismi politici ed imprenditoriali in cerca di siti per discariche, gasdotti, pale eoliche, trasformazioni urbanistiche o semplicemente di acqua.
Un’unica risposta globale (sistemica): l’istituzione di un grande Parco Nazionale.
Le possibili risposte alle suddette sfide che i territori montani sperimentano ogni giorno sono state dibattute nell’ambito del Seminario di Studi IL PARCO CHE NON È! – Idee per un futuro delle aree interne appenniniche, organizzato a Pietralunga PG nei giorni 15 e 16 Ottobre 2022 dal Comitato promotore Parco Nazionale Catria, Nerone e Alpe della Luna e da Slow Medicine ETS (Ente del Terzo Settore), con la partecipazione di importanti Enti e Associazioni quali il Club Alpino Italiano, Slow Food, ISDE-Medici per l’Ambiente, Rete Terapie Forestali in Foreste Italiane (TeFFIt-OE), Italia Nostra Marche e di competenti rappresentanti di Parchi Nazionali e interregionali (Appennino tosco-emiliano; Foreste Casentinesi, Falterona e Campigna; Sasso Simone e Simoncello) e di istituiti universitari (Università di Urbino e Università della Tuscia).
Il territorio preso in considerazione, a cavallo dell’Appennino centro-settentrionale, che deve fronteggiare le numerose insidie sopra riportate, possiede al contempo grandi potenzialità e risorse naturali. Lo sviluppo socio-economico di un territorio ripartito in diverse regioni e provincie, richiede un’opportuna governance che gli enti locali, con sempre meno risorse finanziarie e di personale, difficilmente riuscirebbero a fornire.
La risposta è l’istituzione di un Ente sovraordinato ma al servizio delle comunità locali, capace di armonizzare e coordinare le diverse attività di un territorio vasto e complesso: un Parco Nazionale. Di seguito vengono riportate le diverse risposte che un Parco Nazionale può offrire alle sfide precedentemente elencate, e le principali azioni da porre in atto per creare un consenso diffuso attorno al progetto Parco Nazionale.
- Un patrimonio naturalistico e paesaggistico da conservare
L’area ricompresa tra il Catria, il Nerone, le foreste di Pietralunga e l’Alpe della Luna, contiene una serie di peculiarità geologiche, paesaggistiche, paleontologiche, faunistiche, vegetazionali, che per la loro rarità sono assolutamente degne di una specifica tutela. Da un lato si trovano le montagne calcaree dell’Appennino centrale e dall’altro la formazione marnoso-arenacea tipica dell’Appennino settentrionale. Alla ricchezza di acque superficiali che caratterizza la zona settentrionale, si contrappongono numerosi fenomeni carsici delle aree centrali, con la presenza di centinaia di caverne, inghiottitoi, doline, pareti vertiginose e grandi archi rocciosi. Anche l’idrografia è fortemente influenzata dalla situazione geologica e infatti il reticolo idrografico presenta una complessità e un’articolazione straordinaria. Dalle cime dei monti più elevati si gode di un’ampiezza panoramica che può lasciare senza fiato. Nelle giornate particolarmente terse la vista può spaziare dall’Emilia all’Abruzzo, dalle colline tirreniche all’Adriatico.
In un simile contesto non possono mancare preziose presenze sia botanico vegetazionali che faunistiche. Talvolta si determinano situazioni di un marcato paradosso bioclimatico, con la coesistenza nel medesimo luogo di specie con esigenze climatiche opposte (es. tratti di bosco misto di leccio e faggio). Sono presenti anche alcune specie relitte e diversi endemismi, sia nell’area calcarea che nell‘area silicea (es: Cirsium alpis lunae, ecc.). Inoltre il gruppo montuoso del Catria costituisce il limite meridionale per alcune specie (es. Genista radiata).
Sul piano faunistico va segnalata la presenza di un importante popolazione di Aquila chrysaetos, che ricomprende almeno 4 coppie. Vi sono poi anfibi rari e minacciati dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici come Bombina variegata, Salamandra salamandra e Salamandrina perspicillata, Triturus alpestris, Speleomantes italicus, Rana italica, e mammiferi come Cervus elaphus e Canis lupus, ecc.
Non mancano aree (anche vaste) ancora oggi difficilmente raggiungibili e/o completamente irraggiungibili con i mezzi a motore. Si tratta di aree che quindi godono di un isolamento prezioso, che ha permesso lo sviluppo dei processi di resilienza da parte degli ecosistemi.
La creazione di un’entità sovraordinata come un Parco Nazionale, potrebbe garantire l’attivazione di numerosi interventi, mirati ad avviare delle opere di restauro degli ecosistemi degradati. Proprio questi interventi potranno assicurare la conservazione degli organismi biologici e permettere un effettivo incremento della biocomplessità del territorio.
2 – Importanza dell’Ente Parco: una governance espressione del territorio montano con dotazioni tecnico-economiche capaci di supportare politiche mirate di sviluppo sostenibile.
Ruolo di un Parco Nazionale: garanzia che l’ambiente naturale con le sue inestimabili ricchezze (capitale naturale, servizi ecosistemici, biodiversità naturale e culturale) verrà preservato nel futuro, ma anche Ente espressione del territorio e al servizio delle comunità locali (riavvicinamento del potere decisionale).
Uno strumento flessibile ed innovativo, capace di portare benefici concreti e duraturi:
- come dimostrano esempi di territori limitrofi (Casentino, Appennino tosco-emiliano) l’istituzione di un Parco Nazionale determina un freno allo spopolamento tramite un rinnovato senso di appartenenza e incentivi alla imprenditoria giovanile per progetti di sviluppo sostenibile; e l’istituzione di un Ente Parco, composto anche da amministratori locali, riconsegna ai territori interni capacità decisionale e risorse economiche proprie (il PN delle Foreste Casentinesi conta su un trasferimento ordinario di circa 3 milioni di euro annui e su un indotto stimato di oltre 50 milioni di euro l’anno);
- il Parco Nazionale è dotato sia di strumenti normativi propri che di personale specializzato (carabinieri forestali) per tenere sotto controllo i flussi di persone al proprio interno (con precedenza sempre agli abitanti locali);
- le risorse economiche ordinarie e straordinarie sono sempre incanalate in un progetto unico e ben definito che è quello del Parco;
- il territorio e i prodotti agricoli/artigianali ivi prodotti si fregiano di un marchio di qualità internazionalmente riconosciuto: un marchio di eccellenza quale meta turistica naturalistica, stimolo e orgoglio per popolazioni da secoli periferiche, improvvisamente divenute “centro” (per la prima volta imboccando una stradina tortuosa verso uno dei paesini appenninici non ci si allontanerà da qualcosa – mare, città d’arte – ma ci si avvicinerà a qualcosa di eccellente).
- Definire un brand territoriale integrando saperi locali, agricoltura, artigianato, ricettività, attività compatibili e sostenibili sostenuta da un turismo slow (cammini/sentieri) sempre più affermato e importante per il mantenimento della qualità del territorio e delle attività compatibili pertinenti.
La vera forza di avere un PARCO NAZIONALE non è nel ricevere finanziamenti, è nel ribaltare il concetto centro/periferia: nuova economia, incremento della popolazione, incremento dei servizi, riacquisto di rappresentanza e vicinanza del potere decisionale; e conferimento alla popolazione residente del ruolo di custode e cura del territorio.
Il riconoscimento come Parco Nazionale non va considerato un traguardo finale, ma un punto di partenza (vedi PN Tosco-Emiliano oggi anche Riserva Biosfera Unesco) grazie al quale si può puntare a divenire luoghi sperimentali delle nuove economie eco-sostenibili: Parco Nazionale dunque come battaglia di avanguardia e non di retroguardia, primo passo concreto verso il futuro.
Perché tutto ciò possa concretizzarsi (esistono purtroppo anche esempi negativi di Parchi che non assolvono alla propria funzione), l’istituzione del Parco Nazionale deve partire dal basso, dal territorio, dalle realtà locali, unico collante che può tenerlo saldo.
Occorrerà dunque prima di tutto quantificare il numero di enti pubblici coinvolti nel territorio, quali e quanti sono i comuni, le unioni montane, le provincie, le regioni, i consorzi di bonifica, etc., quali funzioni svolgono e soprattutto, quale ruolo rivestirebbero all’interno di un Parco Nazionale.
Non uno strumento destinato ad usurpare il potere e a svuotare gli enti locali delle rispettive funzioni, bensì un alleato del territorio a cui gli enti pubblici guardano come opportunità per riattivare i processi di sviluppo del capitale naturale e sociale.
Una delle prime azioni per avviare un dialogo nel territorio e con il territorio dovrà essere quella di delineare assieme ad essi i confini del Parco: in questo modo si rafforza il concetto di Parco quale tratto identificativo di quel preciso territorio.
3 – Sviluppo socio-economico locale: aree interne e turismo sostenibile (turismo culturale e ambientale, turismo dei Cammini, turismo enogastronomico).
Come detto, le aree interne appenniniche presentano una serie di criticità note, ma anche importanti risorse: biodiversità naturale, culturale e agricola (prodotti della terra e gastronomici).
E grazie alle conoscenze tramandate di generazione in generazione, attraverso un corretto coordinamento e un’attenta gestione di tali risorse (sperimentando processi produttivi virtuosi basati su energia rinnovabile e limiti agli sprechi), è possibile invertire il trend, o quantomeno contenere gli effetti negativi di cui sopra). Attualmente nei 24 Parchi nazionali italiani che interessano circa 1,5 milioni di ettari, pari al 5,1% del territorio nazionale, sono presenti 706.058 imprese di cui il 13,1% sono imprese giovani (under 35) e il 26,8 % imprese femminili. Queste realtà generano un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro, pari al 10,6% dell’intera economia italiana.
Un importante driver di sviluppo sostenibile e di rilancio dell’occupazione è costituito dalla filiera agroalimentare: l’agricoltura ecosostenibile, della qualità e della tipicità non trova ormai più vincoli nei Parchi come avveniva in passato, ma in molti casi scopre invece delle vaste opportunità. Nelle aree protette italiane, soprattutto quelle di montagna, l’agricoltura biologica oltre a fornire prodotti genuini contribuisce a difendere e a valorizzare le produzioni tipiche e tradizionali tutelando anche il paesaggio agricolo.
Ma la situazione più interessante è quella che riguarda l’aspetto turistico: i principali segmenti attuali del turismo nazionale e internazionale sono proprio quello culturale e ambientale (risulta una stretta correlazione fra turismo culturale e turismo ambientale: per il 60% degli ecoturisti l’aspettativa culturale è al primo posto) e quello enogastronomico. Ciascuna di queste forme di turismo è attestata sopra il 30% del turismo nazionale; e nel dopo pandemia tale tendenza risulta in aumento, per cui la somma dei due segmenti costituisce oltre i ¾ del turismo nazionale.
Un Parco Nazionale, eccellenza fra le aree protette, incastonato e circondato da gioielli dell’arte e dell’architettura (Città di Castello, Sansepolcro, Urbino, Gubbio), risulta una destinazione di grandissimo richiamo internazionale. Richiamo aumentato da presenza di Cammini di rilievo nazionale ed internazionale:
- 8 tappe del Sentiero Italia (il più lungo Cammino europeo, recentemente rilanciato da parte del C.A.I. quale Sentiero dei Parchi),
- 4 tappe della Via di Francesco (sulla strada per diventare il principale competitor del Cammino di Santiago),
- 4 tappe del Cammino Camaldolese di San Benedetto.
(e generalmente un Parco Nazionale si fa carico della manutenzione ed armonizzazione di tale rete sentieristica, aumentandone la validità e soprattutto la fruibilità).
Abbinando a ciò gli aspetti di artigianato, di una agricoltura sostenibile ricca di tipicità dei prodotti agroalimentari presenti nel territorio (pochi presidi Slow Food ma un grande numero di prodotti annoverabili fra quelli dell’Arca), di una cucina tipica e unica, tale potenziale diventa eccezionale e, soprattutto, spendibile in mercati tradizionalmente estranei al turismo ambientale, quali quelli dell’estremo oriente (dove ad esempio ha avuto vasta eco il recente conferimento alla Cerca del Tartufo della qualifica di patrimonio dell’UNESCO; questa attività, ubiquitaria in tutte le aree del l’ipotetico Parco, e praticabile in tutte le stagioni, potrebbe utilmente rappresentare il simbolo di questo territorio). Lo sviluppo di questo enorme potenziale richiede ovviamente una opportuna governance: la realizzazione di un Parco Nazionale che coordini e armonizzi fra loro tutti i vari e complessi aspetti di un territorio vario, pluriregionale e tradizionalmente caratterizzato da fenomeni accentuati di campanilismo, è purtroppo un processo lento e faticoso, che mal si sposa con l’abitudine diffusa fra le persone di ricercare risultati a breve termine (se ciò non succede, l’interesse cala e si rivolge immediatamente ad altre iniziative).Il Comitato promotore del Parco è chiamato dunque al difficile compito di ottenere (e comunicare) risultati parziali, o almeno dimostrare un avanzamento dell’idea con progetti concreti quali ad es.
- dimostrazione delle reali potenzialità economiche del progetto Parco tramite abbinamento progetto Sentiero Italia CAI col progetto Distretto Appennino di Confagricoltura (4 Regioni coinvolte: Marche, Umbria, Toscana, Emilia Romagna) valorizzato attraverso i cammini e la rete di sentieri come progetto già avviato e che potrebbe essere sviluppato con l’orizzonte finale di essere validato e governato da un Futuro Parco;
- accordo con Università del territorio per seguire in termini scientifici un progetto che riguarda l’evoluzione territoriale dell’area Parco sotto i diversi aspetti ma in modo integrato e transdisciplinare dalla sua partenza e lungo tutte le fasi, descrivendo e suggerendo i vari step e monitorando e valutando i suoi costi e benefici.
4 – Cambiamenti climatici e bioeconomia: servizi ecosistemici, biodiversità, gestione degli animali domestici (pastorizia) e della fauna selvatica.
La crisi climatica in atto ci pone di fronte uno scenario dai toni apocalittici; siccità prolungata, ondate di calore sempre più severe, esaurimento delle risorse idriche, aumento delle malattie e disturbi legati alle alte temperature, alluvioni improvvise. Urge dunque adottare piani di gestione del territorio che possano massimizzare:
- la riduzione della quantità di anidride carbonica dell’atmosfera (principale responsabile del cambiamento climatico e dei suoi effetti deleteri);
- la gestione e conservazione delle acque.
La consistente copertura boschiva del territorio appenninico considerato, è garanzia di contenimento della CO2. Purtroppo però, il settore forestale appenninico è largamente legato ad utilizzazioni finalizzate ad ottenere un solo prodotto, legna da ardere e biomasse a scopo energetico. Le conseguenze di queste scelte comportano una semplificazione degli habitat e degli ecosistemi, e dunque una regressione della biodiversità (oltre allo sviluppo di un settore economicamente marginale, in cui gli addetti ai lavori possiedono -molto spesso- limitate capacità tecnico-professionali).
Lo sviluppo dei piani di gestione forestale mediato dal Parco e sviluppato in unità ecologico funzionali (UEF) in cui valutare il bilancio socio economico-ecologico tra usi diretti ed indiretti delle funzioni ecologiche del bosco, dovrà contribuire a definire un paesaggio più articolato, dando l’avvio ad un restauro generalizzato delle foreste, sia attraverso processi attivi (conversioni ad alto fusto) che passivi (abbandono colturale). In entrambi i casi, occorreranno politiche finanziarie specifiche, che permettano di coniugare il miglioramento dei soprassuoli e dei suoli, del paesaggio e di tutte le funzioni sistemiche proprie delle foreste, con le legittime aspirazioni dei proprietari e con le necessità delle maestranze: oltre alla produzione di legna da ardere verrà favorita quella selvicoltura capace di ottenere prodotti ad elevato valore economico, come legname da opera, che potranno finalmente essere destinati alla filiera del legno arredo, seconda manifattura italiana. Utilizzare materiale proveniente dai boschi locali, gestiti secondo criteri di sostenibilità, riduce i costi ambientali globali, innesca i processi dell’economia circolare, favorisce la crescita di filiere sostenibili e valorizza i prodotti locali.
Anche i pascoli assumerebbero un ruolo fondamentale all’interno di un territorio suddiviso sempre in UEF, in cui la presenza delle mandrie di bovini ed equini ha da sempre contribuito a forgiare il paesaggio montano. Attualmente i pascoli montani di una buona parte dell’Appennino vivono una situazione paradossale; in alcuni contesti gli arbusti e le piante pioniere stanno occupando sempre più spazio a scapito delle rare piante erbacee. In altre circostanze il carico di bestiame è così elevato che si osservano con lampante facilità segni di degrado del suolo, quali fenomeni erosivi, deiezioni frequenti, scarsa o assente rinnovazione del bosco causata dall’incessante calpestio degli animali, nonché recinzioni metalliche abbandonate e che diventano delle serie minacce tanto per il bestiame quanto per la fauna. Il Parco diventerebbe quel catalizzatore capace di favorire la promozione economica e sociale anche nel delicato settore della zootecnia, sostenendo le attività degli allevatori, coadiuvandone gli spostamenti delle mandrie con maggiore frequenza in modo da distribuire con più efficacia la presenza degli animali nei diversi pascoli, ciò comporterebbe un notevole aumento della biodiversità e un incremento della resistenza dei preziosi biotopi prativi.
Non ultimo, un Ente Parco riuscirebbe ad incentivare la creazione di imprese giovanili, contenendo notevolmente il rischio d’impresa e attivando i processi che permettano la creazione di una filiera locale in modo che una carne di qualità possa trovare facilmente distribuzione anche nelle mense scolastiche, aziendali, sanitarie del territorio.
È essenziale ricordare che un Parco Nazionale riduce drasticamente il numero di attacchi al bestiame ad opera del lupo, mettendo a disposizione degli allevatori cani da guardiania, recinti elettrificati ed erogando gli indennizzi in tempi molto più celeri rispetto a quei contesti privi di Parco Nazionale.
Per quanto riguarda la conservazione (e regimazione) delle acque, i piani da adottare all’interno di ogni UEF integrandoli con le funzioni della copertura vegetazionale e riconoscendone economicamente le funzioni, con l’ausilio del Parco, potrebbero essere destinati a provvedere una riqualificazione morfologica ed ecologica dei corsi d’acqua, de-canalizzandoli, riconnettendo le pianure alluvionali e ripristinando fitte formazioni boscate riparie. Solo un’attenta analisi e un’oculata pianificazione del territorio e l’impiego di personale qualificato con competenze specialistiche, potrà contrastare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici.
Il ruolo di un Parco Nazionale è quello di gestire molteplici aspetti, di carattere ambientale, economico e sociale, e dunque problemi di carattere globale (si vedano le parole di Papa Francesco nell’Enciclica <Laudato si>: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”).
Un Parco Nazionale ha l’ambizione di risolvere le problematiche sia dei territori al suo interno che di quelli esterni, anche distanti dai suoi confini. Torniamo per un momento a considerare l’acqua, risorsa preziosa ed insostituibile per tutti.
I territori montani grazie ad un regime pluviometrico generoso e all’estesa copertura forestale rendono un servizio gratuito di fornitura e di regolazione, non solo a quelle comunità che vivono ai piedi delle montagne ma soprattutto a quei territori in cui si registra la maggior densità abitativa. Ecco che i principali centri urbani e le più importanti attività produttive dipendono dal quantitativo di piogge che ogni anno scendono nelle montagne e che si accumulano nelle falde. Se questi complessi ecosistemi naturali dovessero regredire, verrebbe messa in discussione l’esistenza di quel tessuto socio-economico che traina l’economia regionale e nazionale.
Un Parco Nazionale riveste un peso fondamentale dunque non solo per quel circoscritto territorio delimitato dal perimetro del parco ma per gli interi bacini imbriferi ove il parco si estende. Il territorio di un bacino idrografico ha dunque urgente bisogno di un progetto globale volto a garantire acqua potabile a tutti, aldilà dei disaccordi e dei rancori campanilistici. Per quanto distanti siano i centri periferici rispetto ai centri non periferici in termini di benessere, stili di vita, abitudini, etc. essi sono uniti dal legame inscindibile che congiunge la vita all’acqua.
Discorsi analoghi possono essere fatti a proposito – della riduzione della quantità di anidride carbonica dall’atmosfera (principale responsabile del cambiamento climatico e dei suoi effetti deleteri);- della riduzione sensibile delle temperature medie estive;- della migliore qualità dei suoli.
Così, forte anche del recente riconoscimento in Costituzione (art. 9 “ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”), un Parco Nazionale può, e deve, essere capace di pensare globale ma di agire localmente.
5 – Parchi e Foreste evolute: biocomplessità e concetto di One Health.
Negli ultimi due decenni è risultato evidente come cambiamento climatico, impoverimento della biodiversità e insorgenza di pandemie da microrganismi di origine animale siano la conseguenza dell’invadenza opportunistica degli esseri umani. L’ambiente è stato visto per lungo tempo soltanto come un luogo, quasi un contenitore, dal quale attingere risorse: sia la componente vivente che quella abiotica sono state gestite con l’obiettivo di renderle massimamente produttive o considerate quali fonti esterne di potenziali perturbazioni dannose da contenere e combattere, senza alcuna prospettiva relazionale.
La Comunità Scientifica ha ora preso atto di tre realtà fondamentali:
- l’organismo umano non è isolato dall’ambiente che lo ospita ma, anzi, è colonizzato da microorganismi indispensabili per la propria esistenza, e che continuamente scambia con lo spazio nel quale vive
- l’ambiente nel quale si vive non è mai neutro ma deve contenere effettori indispensabili al mantenimento della salute psicofisica umana
- il malessere delle altre componenti viventi, micro e macroscopiche, anche per riduzione o modifiche dei loro habitat, può provocare direttamente e indirettamente malessere e malattia anche negli esseri umani.
Da qui l’introduzione di un nuovo concetto di salute condivisa, One Health, definizione coniata per la prima volta nel 2004 , ma tutt’ora in continua evoluzione nel riconoscere una sempre maggior interconnessione tra salute di persone, animali, piante, e del loro ambiente condiviso.
Nella pratica, si sta diventando sempre più consapevoli dell’inefficacia delle sole strategie di contenimento attraverso i tentativi di eliminazione delle fonti di patologia o di disturbo (ad esempio attraverso l’abbattimento selettivo della fauna selvatica e domestica, l’utilizzo di antibiotici e antiparassitari, l’eliminazione delle specie vegetali non immediatamente vantaggiose, e così via), e di come queste rappresentino invece un’amplificazione dei danni nel lungo periodo.
Si è diventati altresì consapevoli che è insufficiente anche la sola applicazione del concetto di sostenibilità, intesa come più oculato prelievo di risorse e più attenta gestione degli ambienti naturali. È invece emersa l’irrinunciabile necessità del tempestivo e diffuso ripristino di integrità ecologiche, in particolare nei confronti degli ecosistemi marini e forestali, anche di prossimità.
In tal senso, l’istituzione di un Parco Nazionale risponde non solo al diritto e dovere di tutelare la salute degli abitanti delle zone rurali, ma contribuisce anche ad una più corretta applicazione delle strategie One Health:
– monitoraggi e interventi interdisciplinari (medici, veterinari, ecologici, sociali, economici, ecc): nella frammentazione non è possibile intervenire sulla complessità delle interrelazioni tra persone, fauna selvatica e domestica, biodiversità di specie e microbica; l’istituzione di Parchi e di aree tutelate consente invece un miglior coordinamento del monitoraggio e un tempestivo adattamento delle azioni utili alle necessità emergenti, abbattendone anche i costi;
– restauro generalizzato delle foreste, per un miglioramento dei soprassuoli e dei suoli, del paesaggio e di tutte le funzioni sistemiche proprie delle foreste. Lo sviluppo dei piani di gestione forestale mediato da un Parco Nazionale permette di ricreare ambienti forestali evoluti e complessi che influiscono non solo sulla salute collettiva (servizi ecosistemici precedentemente enunciati) ma anche sulla salute individuale delle persone: l’immersione in ambienti forestali maturi genera benessere, con effetti positivi a livello psichico attraverso la riduzione di ansia e stress. Anche a livello fisico sono riscontrabili benefici grazie all’azione di composti organici volatili che, riducendo i fattori di infiammazione, contribuiscono alla prevenzione di patologie croniche quali diabete, patologie respiratorie e cardiache. Tali effetti sono determinati non solo dalla percezione olfattiva, ma anche dalla stimolazione di tutti i sensi da parte dell’ambiente forestale.
In definitiva, l’efficacia rapidamente osservabile e tangibile delle politiche e dell’operatività One Health, non solo offre l’immediato vantaggio di una maggior salute psico fisica degli abitanti di una zona Parco (per gli effetti positivi di corrette abitudini di vita, come la regolare attività fisica moderata sui sentieri ed una corretta alimentazione, unita all’utilizzo di prodotti agricoli e di allevamento locali), ma può diffondere benefici e consapevolezza a tutti i frequentatori quando la popolazione locale ne sappia dare opportuna visibilità (sviluppo turistico sostenibile e, per quanto possibile, non legato alla stagionalità).
In conclusione, investire in un progetto di lungo termine come un Parco Nazionale, capace di generare quelle esternalità positive ossia quei benefici ambientali, economici e di salute che oltrepassano i suoi confini amministrativi, permetterebbe al territorio di arrivare preparato e soprattutto rafforzato per il 2030, anno in cui gli obiettivi sociali, economici ed ambientali contenuti nell’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile dovranno essere compiuti.
Fra questi, l’obiettivo 30-30 prevede il raggiungimento entro il 2030 di un 30% di territorio protetto, mentre oggi tale percentuale in Italia è ferma al 10% o, considerando anche le aree Natura 2000, non oltrepassa il 20%. È fondamentale che tali aree protette siano quanto più possibile interconnesse fra loro, riportando d’attualità il progetto Appennino Parco d’Europa, dove risulta evidente una grande lacuna proprio in corrispondenza del territorio Alpe della Luna e massiccio Catria-Nerone.
FIRMATARI DEL DOCUMENTO
Consiglio Direttivo Comitato promotore Parco Nazionale Catria-Nerone-Alpe della Luna:
Giovanni Angradi – Cristiano Ceccucci – Aldo Chucchiarini – Stefano Fagiolo – Gino Martinelli –
Giovanni Paci – Andrea Pellegrini
Sandra Vernero-Presidente della Associazione Slow Medicine ETS;
Andrea Gardini-Segretario della Associazione Slow Medicine ETS;
Lino Gobbi-Presidente del parco interregionale Sasso Simone e Simoncello;
Franco Finelli-Presidente Commissione Centrale Medica C.A.I. (Club Alpino Italiano);
Roberto Romizi-Presidente Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia;
Pierangela Fiammetta Piras-Vicepresidente Asso TeFFIt-OE;
Maurizio Sebastiani-Presidente Italia Nostra Marche;
Alessandro Bottacci-Docente del Master in Governance della Montagna all’Università della Tuscia;
Giovanni Damiani-Presidente GUFI-Gruppo Unitario Per le Foreste Italiane;
Nello Oderisi Fiorucci-Esperto di Destination Management;
Fausto Giovanelli-Presidente del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano;
Riccardo Santolini- Professore Associato all’Università di Urbino;
Bartolomeo Schirone-Presidente della Società Italiana di Restauro Forestale;
Federico Varazi-Vicepresidente Slow Food Italia;
Daniele Zavalloni- Consigliere Parco Nazionale Foreste Casentinesi Monte Falterona Campigna