Manifesto per il Parco Nazionale
MANIFESTO per il PARCO NAZIONALE
In Italia, nel dopoguerra, boom economico e sviluppo industriale determinano una espansione e
diffusione della ricchezza dalle città verso le province, dove gli imprenditori aprono stabilimenti,
purché vi sia un viabilità idonea.
Negli anni ’60, ’70 e ’80 dunque, i piccoli paesi appenninici chiedono a gran voce viabilità veloce,
nella speranza con essa arrivi il benessere industriale.
Sul finire degli anni Ottanta, però, il periodo di diffusione della ricchezza si arresta (fine delle
grandi fabbriche): è l’inizio dell’era della globalizzazione (economia della conoscenza), dove i
capitali finanziari e i migliori capitali umani (poche persone molto istruite) si concentrano nelle
grandi città, che divengono poli di estrema ricchezza e benessere.
Mentre nelle periferie crescono malessere e povertà, che accomunano sia i piccoli paesi appenninici
che le cittadine periferiche di fondovalle: tutti a confrontarsi con spopolamento, perdita di servizi,
perdita di rappresentanza.
ATTENZIONE a non confondere cause ed effetti.
Carenze di scuole e ospedali, viabilità disastrata etc. non sono la causa dello spopolamento: è la
mancanza di lavoro che causa spopolamento; e la riduzione della popolazione porta a riduzione di
servizi e infrastrutture.
E’ un gatto che si morde la coda (un circolo vizioso).
Rispetto alle cittadine di fondo valle (periferie) i paesi appenninici (periferie delle periferie),
lamentano una progressiva perdita di rappresentanza: Comunità Montane e Province scompaiono (o
perdono di valore), presto scompariranno anche molti Comuni, i centri decisionali si allontanano.
I paesi appenninici vantano però un vantaggio: negli ultimi 60 anni non li ha raggiunti il benessere
industriale, ma non li hanno raggiunti neanche (se non in minima parte) le sue conseguenze nefaste:
agricoltura industriale, inquinamento, cementificazione selvaggia.
I coraggiosi e premurosi abitanti locali (contadini, allevatori etc.) hanno contribuito a conservare
un ambiente equilibrato e di grande fascino,e potrebbero presto raccoglierne il giusto
riconoscimento.
Se volgiamo lo sguardo al prossimo futuro, troviamo una RICCHEZZA ECONOMICA e
CULTURALE concentrata nelle città metropolitane, ricche e smart, con periferie invece povere e
disagiate…piano piano le politiche che obbligatoriamente dovranno essere messe in atto tenderanno
a ridurre tale forbice, e a far diventare smart anche le periferie; ovviamente tale processo si
irradierà dal centro alla periferia giungendo (?) per ultimo alle periferie delle periferie (paesini
montani)…arriveranno in tempo, o sarà troppo tardi?
Perché nel frattempo in tali luoghi continuerà l’esodo della popolazione, la riduzione di servizi e
rappresentanza (quanto ancora resisteranno i premurosi e coraggiosi contadini, allevatori, etc.?
quanto resisteranno ancora le strutture ricettive orfane di infrastrutture?
quanti attacchi subiranno tali terre di nessuno da parte di multinazionali in cerca di siti per
discariche, gasdotti, o semplicemente di acqua?).
Unica soluzione di sopravvivenza possibile per i suddetti paesini montani è allora ribaltare la
prospettiva, ovvero trasformare la periferia delle periferie in centro.
Volgendo ancora, infatti, lo sguardo al prossimo futuro, se guardiamo bene, troviamo anche una
RICCHEZZA NATURALE (capitale naturale, servizi ecosistemici, biodiversitò naturale e culturale)
concentrata nei territori dei paesini montani (periferia della periferia).
Consapevoli di ciò, i coraggiosi e premurosi abitanti di tali luoghi non si accontenteranno più
dell’elemosina di pochi spiccioli (sotto il nome di indennità compensativa o fondi per le aree
svantaggiate) ma chiederanno a gran voce il giusto compenso, la medaglia al valore dei decennali
sacrifici sostenuti per mantenere tale ricchezza naturale: il riconoscimento a PARCO NAZIONALE
(un territorio di assoluta eccellenza dato dalla somma di singoli territori di media eccellenza).
Uno strumento flessibile ed innovativo, capace di portare benefici concreti e duraturi:
-garanzia che tale ambiente naturale verrà preservato nel futuro (a discapito di qualunque attacco
delle multinazionali di cui sopra);
-priorità per gli agglomerati all’interno del PARCO nelle graduatorie di finanziamento;
-priorità per gli agricoltori dei Comuni del PARCO nelle graduatorie di finanziamento;
-costituzione di un Ente sovraordinato espressione del territorio (riavvicinamento del potere
decisionale);
-marchio di qualità internazionale del territorio e dei prodotti agricoli/artigianali ivi prodotti;
-marchio di eccellenza quale meta turistica naturalistica (si pensi a un viaggio negli USA: New
York, L.A., S. Francisco e …Yellowstone o il Gran Canyon; in Italia sarà lo stesso: città d’arte e
parchi nazionali, per milioni di visitatori);
-stimolo e orgoglio per popolazioni da secoli periferiche, oggi “centro” (per la prima volta
imboccando una stradina tortuosa verso uno dei paesini appenninici non ci si allontanerà da
qualcosa – mare, città d’arte – ma ci si avvicinerà a qualcosa di eccellente);
-riconoscimento alle medesime popolazioni, che in virtù del loro ruolo passato, presente e futuro, di
custodi del territorio, si traduce in privilegi nella raccolta di funghi, tartufi, prodotti del sottobosco,
pesca e quant’altro (finalmente padroni a casa propria).
La vera forza di avere un PARCO NAZIONALE non è nel ricevere finanziamenti, è nel ribaltare il
concetto centro/periferia: nuova economia, incremento della popolazione, incremento dei servizi,
riacquisto di rappresentanza e vicinanza del potere decisionale = rottura del circolo vizioso attuale:
il gatto non si morde più la coda!
E il riconoscimento a PARCO NAZIONALE non va considerato il traguardo finale, ma un punto di
partenza (vedi PN Tosco-Emiliano) grazie al quale si può puntare ad ambiti riconoscimenti
internazionali (UNESCO), diventando luoghi sperimentali delle nuove economie eco-sostenibili
(GeoParco o Riserva della Biosfera su un territorio allargato che comprende luoghi importanti come
Sansepolcro, Città di Castello, Gubbio, Urbino): l ‘ ex-periferia diviene nuovo centro in cui
l’irradiamento procede in senso inverso (dalla montagna verso il centro metropolitano).
PARCO dunque come battaglia di avanguardia e non di retroguardia, come primo passo verso il
futuro, da fare ora:
chiedendolo con forza, artefici del proprio destino e non più in attesa che qualcun altro
venga a salvarci;
partecipando al dibattito sulla nuova legge delle aree protette, che al passo coi tempi si
propone di conservare non solo singole specie animali o vegetali, non solo singoli habitat,
ma interi territori, incluse le popolazioni che da millenni con essi costituiscono un tutt’uno
(indissolubile legame uomo-natura sulla catena appenninica, culla di civiltà millenarie);
entrando in prima persona nella decisione sui confini e sulla zonizzazione;
decidendo tutti assieme il Regolamento;
confermando che la salvaguardia della biodiversità naturale va di pari passo con quella della
biodiversità culturale (salvare la memoria degli antichi mestieri sarà sempre più importante
in una civiltà omologata e massificata da TV, internet, social etc.).
Tutti assieme si può fare, portando ciascuno le proprie esperienze ed istanze (cacciatori compresi), e
facendo leva su uno strumento legislativo e di programmazione economica già presente:
la Strategia Nazionale per le Aree Interne che promuove proprio tali iniziative di sistema.